Un lutto atroce, il più terribile. La perdita di un bimbo di appena tre anni e mezzo, a causa (forse) della bronchiolite o del virus sinciziale, che stanno moltiplicando i ricoveri in tutta Italia. E l’appello ai medici: “visitate questi bambini, le diagnosi non si possono fare al telefono o su Whatsapp”. È un colpo al cuore, il lungo post pubblicato dalla giornalista barese Annamaria Ferretti, volto noto televisivo e ora direttora de “La Nuova Gazzetta di Puglia e Basilicata”. La giornalista sta infatti affrontando il dolore per la morte del figlio di un suo cugino, residente a Siena.
Sul suo profilo Facebook, Annamaria Ferretti apre un importante tema di riflessione, condivisibile e urgente, che riproponiamo integralmente. “Nelle ultime 48 ore la mia famiglia è stata colpita dalla tragedia più lacerante e inimmaginabile – racconta – Uno dei nostri piccoli, aveva tre anni e mezzo era nato e viveva a Siena, se n’è andato per colpa di una bronchiolite, di una polmonite o del cosiddetto virus sinciziale. Non lo sappiamo di preciso, ma lo capiremo tra una ventina di giorni”. La risposta “servirà ai genitori, ai nonni, a tutta la famiglia e a chi lo amava – spiega – Ma soprattutto sarà di aiuto alla sua pediatra che a prescindere dall’emergenza Covid e dai protocolli, capirà che di questi tempi le diagnosi non si possono fare per telefono e che i piccoli vanno visitati di persona. Anche a casa, perché dovremmo tornare a mettercelo in testa”.
Il post è un “grido di allarme su un fatto, e stimolare al cambiamento di situazioni che spesso si è costretti a subire perché ‘è così che deve andare’ – è la riflessione – Essere medica o medico di riferimento per una famiglia, o per una persona, è molto più che una missione. E non esiste alcuna riduzione del caso che induca alla sottrazione dell’essere esempio o del prendersi cura di chi chiede aiuto e ha bisogno di un filo diretto. Perché non può essere che quando si sceglie di rivestire un ruolo così importante nelle vite degli altri, tutto si riduca allo spazio fisico di uno studio, o al telefono come mezzo di collegamento alternativo. Specie poi quando i pazienti sono bambine e bambini. Non può e non deve essere. Altrimenti, a parer mio, meglio cambiar strada. Da subito. E’ un consiglio interessato”.