È il 5 agosto 2020. Michele Emiliano annuncia la realizzazione della prima fabbrica pubblica che produce DPI. Una fabbrica strategica, in grado di produrre a regime 60 milioni di mascherine tra chirurgiche FFP2 ed FFP3. E poi camici, calzari, tute, copricapo. A distanza di sei mesi che fine ha fatto la fabbrica e perché le strutture regionali continuano ad approvvigionarsi dall’esterno?
Il motivo è presto detto: la struttura realizzata dalla Protezione Civile pugliese doveva servire solo a supporto delle carenze di mercato. “Senza sostituirsi alle aziende private – spiegava lo stesso Emiliano – solo in caso di penuria di mercato”. Tradotto: se in giro non riusciamo a reperirle come a marzo, questa volta siamo in grado di realizzarcele da soli.
Solo che sei mesi dopo quel mercato si è adeguato alla richiesta e trovare mascherine non sembra più un problema. E così la fabbrica è praticamente ferma: produce solo il minimo necessario per non perdere le certificazioni. Un paracadute costato però già parecchi soldini. Solo per fornitura, installazione e assistenza tecnica sui macchinari, affidata alla Prochmatech, sono stati già liquidati con determine pubblicate sulla sezione trasparenza della Regione 1milione e 800mila euro.
La Regione, invece, aveva comunicato solo il costo dei macchinari e del loro allestimento pari a circa 1,2 milioni di euro. Tra l’altro a queste somme dobbiamo aggiungere la riqualificazione del capannone, oltre 500mila euro, il personale per cui il fabbisogno iniziale era stato individuato in circa 30 unità, e così è facile immaginare come il costo complessivo dell’operazione vada ben oltre quei numeri.
“Mi auguro che questo lavoro non serva – scriveva Emiliano ad agosto – ma se dovesse servire noi saremo pronti a fronteggiare la seconda ondata del coronavirus.” Certo, prevenire è meglio che curare ma col senno di poi è legittimo chiedersi se la scelta sia stata giusta. Un po’ come per la realizzazione dell’ospedale in Fiera. Ma questa è un’altra storia.