Covid, il racconto di 7 giorni in Rianimazione: “Mi è stato donato un secondo tempo di vita”

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La malattia che degenera, il ricovero al Policlinico di Bari a causa del Covid, poi il trasferimento in terapia intensiva. E il messaggio su WhatsApp alla famiglia. “Non abbiate timore, ho vissuto una vita stupenda e meravigliosa”.

È il racconto affidato alla bacheca Facebook di Antonio Pinto, presidente dei Confconsumatori Puglia. Dopo settimane in ospedale è tornato a casa, sta meglio e, così come sottolinea lui stesso, è “a pezzi, ma il peggio è ormai alle spalle”.

“Il 2 marzo arriva la febbre – scrive Pinto -. Il 3 inizio terapia a casa. Il 9 mi aggravo ed un mio amico medico Francesco (iniziamo con i salvatori) mi viene a prendere di peso a casa di notte e superando mia ritrosia, mi fa ricoverare al Policlinico di Bari”.

Nel lungo post, Antonio Pinto ripercorre ogni singolo momento dei terribili giorni passati in Rianimazione.

“Il 12 ho un tracollo delle condizioni respiratorie e riesco a scrivere alla mia famiglia questo sms (che sinceramente allora pensavo ultimo): “Allora poiché sembro peggiorato, mi stanno per fare una rx ai polmoni. All’esito decideranno se portarmi in terapia intensiva. Non abbiate in ogni caso nessun timore. Io ho vissuto una vita stupenda e meravigliosa. La vita mi ha dato tutto. Ognuno di voi 5 è un dono immenso che basta da solo a riempire di senso una vita intera. Sia fatta sempre e solo la volontà di Dio. Il segreto della vita lo conoscete ormai. Per vivere felici dovete imparare a voler bene davvero a tutti quelli che ci stanno accanto, dalla famiglia, amici, colleghi, panettieri, fruttivendoli, ecc. Non abbiate mai paura. Gesù ci ha mostrato la via per affrontare qualsiasi dolore, oltre che le gioie. Vi amo ovviamente. Appena mi fanno rx e so esito vi dico ovviamente. A dopo”.

“A questo punto, ormai senza più ossigeno al mio interno, mi portano in rianimazione. Qui è iniziata l’esperienza unica di vivere 7 giorni di piena coscienza e lucidità, dove il corpo non esiste più, solo dolore, aghi, assenza di ossigeno interno, fili e macchinari attaccati dappertutto e l’anima da sola che deve reggere tutto, sapendo che puoi morire sempre. Si cambia, credo per sempre e credo in meglio. Ho visto i medici, gli infermieri e i sanitari della rianimazione: uomini e donne eccezionali che salvano ogni giorno vite e si buttano a capofitto su tutti”. Li ho visti fare turni umanamente impossibili, ogni paziente lo salvano anche 10 volte al giorno. Tolgono liquidi, aspirano i grumi, mettono sondini, intubano, estubano, mettono caschi per ossigeno, regolano e aggiustano le macchine e ci monitorano ogni momento, ma proprio ogni momento. Sono (minimo) due infermieri su 4 pazienti, oltre ai medici. Solo che sono a pezzi. Non riesco a capire come possano resistere. Mi hanno sempre spiegato tutto”.

“Solo io, solo in 7 giorni ho ricevuto oltre mille gesti di affetto (ma mille di numero vero, non a chiacchiere). Mi tagliavano a pezzettini il cibo per farmi deglutire senza strozzarmi. Mi coprivano, mi accarezzavano e basta quando sapevano che stavo proprio stremato. Mi facevano vedere la foto dei miei e dicevano “dai che ce la fai a tornare da loro”. Mi hanno fatto decine di esami ogni giorno. Mi hanno lavato ogni giorno. A me hanno salvato anche con la tecnica della pronazione e quando la mattina mi rigiravano qualche ora per darmi un po’ di “tregua”, perché ero al limite della sopportazione umana, il caposala mi portava il caffè, in quanto ero uno dei pochi pazienti svegli e coscienti. Ogni giorno lì dentro muore qualcuno, ma vi dico che muore con dignità da uomo e donna, solo grazie a loro. Quando me ne sono andato, i presenti hanno fatto capannello e mi davano il 5 mentre ero sulla barella e ovviamente piangevo. Uomini e donne che fanno onore al genere umano. Si muovono continuamente in un silenzio spettrale dove senti solo il rumore dei loro passi instancabili e i bip dei macchinari. Per loro è un disastro anche solo andare in bagno, perché sono bardati al 100 e lì dentro tutto deve essere asettico”.

“I nomi dei miei salvatori sono Antonio Civita, Sestilio De Letteris, Lidia Dalfino, Salvatore Grasso e tutti, ma proprio tutti, gli uomini e donne delle loro squadra eccezionale (mi scuso per non dire i nomi che però io ricordo insieme ai loro occhi). Immagino che se muori sul colpo non capisci cose che in 7 giorni capisci proprio perfettamente, limpidamente”.

“Puoi fare solo due cose che ti danno serenità: 1) pregare a ripetizione e rivedere il film del Vangelo dalla nascita di Gesù fino alla Risurrezione e passando per la passione e croce (mai capita così bene, perché collimante all’1% con quello che facevo io); 2) farsi passare davanti i volti e i momenti passati con tutte le persone a cui tieni e che hanno riempito la tua vita. Non sai se potrai continuare a partecipare alle loro vite, ma intanto li pensi ancora un po’ e ti cresce dentro ancora più amore per loro. Adesso sono giusto un po’ a pezzi (solo fisicamente) non riesco a parlare per più di 5 minuti, e rimarrò ricoverato in reparto normale. Il peggio è però ampiamente alle spalle. Gesù e i sanitari tutti della rianimazione mi hanno regalato un “secondo tempo” della mia vita. Io posso solo cercare di usarlo bene e meglio del primo”.


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