Il Tribunale civile di Bari ha condannato la presidenza del Consiglio dei ministri e i ministeri dell’Interno e delle Finanze a restituire ad un lavoratore migrante le tasse pagate dal 2012 al 2015 per ottenere il permesso di soggiorno e per il successivo rinnovo. La tassa, di importo variabile fra 80 e 200 euro, era stata introdotta con decreto legge nel 2011. Il patronato Inca Cgil e la Cgil Nazionale, ritenendola “ingiusta, sproporzionata ed in aperta contraddizione con le finalità di integrazione e di accesso ai diritti previsti dalle norme comunitarie”, avevano presentato ricorso alla Corte di Giustizia europea, che nel settembre 2015 aveva stabilito che la tassa era illegittima.
Nell’ottobre scorso anche il Consiglio di Stato ha definitivamente stabilito l’annullamento della tassa che oggi non è più richiesta agli stranieri che richiedono o aggiornano il permesso di soggiorno. Tale decisione – spiega la Cgil in una nota – ha sancito che le somme versate nel frattempo, cifra prossima ai cinquecento milioni di euro e corrisposte dai cittadini stranieri da gennaio 2012, dovranno essere restituite”.
È stata così avviata in tutte le sedi territoriali una campagna di richiesta di rimborso. A Bari, tra le prime sentenze in Italia, il Tribunale civile ha dato ragione ad un cittadino straniero che si era rivolto al giudice attraverso la Camera del Lavoro, condannando i ministeri alla restituzione di 440 euro più spese legali. “Questa vittoria – si legge in una nota del sindacato – è il risultato del costante impegno e determinazione della Cgil e dell’Inca Cgil nel rivendicare i diritti delle lavoratrici e lavoratori migranti e delle loro famiglie”.