Tra i vicoli di Bari vecchia, tutti la conoscono come la pasionaria della scuola San Nicola. Ha combattuto per anni contro lo spopolamento dello storico plesso della città vecchia, senza mai perdere il sorriso e la grinta. Da inizio settembre Patrizia Donato La Vitola ha salutato la scuola media San Nicola e si è trasferita in Piemonte: vincitrice del concorso da dirigente scolastico, è diventata preside dell’istituto comprensivo Bra 2 di Bra, tra Torino e Cuneo. Dieci anni da referente del plesso, però, non possono essere cancellati da mille chilometri di distanza. Quella che ci affida è una lettera d’amore a Bari vecchia, e di speranza per il futuro della scuola.
“Questa lunga storia d’amore finisce qua.
Perché quando fai un figlio, poi lo vuoi vedere che cammina; e se cammina da solo forse ti dici che in fondo non è stato tutto sbagliato.
La scuola san Nicola non è un posto qualunque, non lo sarà mai, per quanto ci si voglia ostinare a renderla simile a tutte le altre, questa è una scuola che viaggia da sola. Perché si trova in un posto che è come un’isola piantata nel centro della città e chi, come me, si ritrova per caso ad attraversarla, poi continua a voltarsi indietro tutte le volte che tenta di lasciarla.
Cosa mi manca di più, adesso che mi trovo a mille chilometri di distanza, lontana da tutto e da tutti? Mi manca lei. L’odore del mare, la salsedine sui muri scrostati, i bambini con quello sguardo perso, il rumore dei tacchi nel corridoio, le urla, il silenzio. Mi manca tutta la banalità che mai avrei potuto immaginare.
E mai avrei potuto immaginare che sarebbe stato così forte, eppure così necessario. Perché ogni strada va presa, quando ti si para davanti. Poi non lo sai dove esattamente andrà a finire, tu devi solo muovere le gambe e cercare di sopravvivere al cambiamento. Che è la cosa più difficile, per un uomo. Il cambiamento svuota e ricompone e non sai mai se sei vivo o se sei morto, fino a quando smetti di traballare e trovi la tua nuova pelle.
Sono passati così in fretta questi anni in quella scuola, che penso di avere la stessa faccia di allora. E invece sono anni, e la faccia li racconta tutti, questi anni.
Vorrei che qualcuno, e so che ci sarà, prendesse per mano quei bambini un’altra volta, che continuasse a sperare e a credere che questa è una scuola solitaria e viva e che questa solitudine va rispettata, come una cosa sacra. Vorrei che tutti si rendessero conto che è possibile, che è necessario cercare la bellezza anche nelle facce che non piacciono a nessuno e nelle storie che per pudore spesso non si raccontano.
Vorrei che a nessuno, mai, fosse permesso di porre fine alla storia di una scuola che è bellezza nel suo quartiere, nella sua piccola isola, nel suo mondo pieno di luci e ombre.
E devo dirle soltanto grazie. Ai bambini, ai ragazzi, agli uomini che sono adesso e che portano dentro le storie che ci siamo detti nel silenzio della stanza piena di salsedine e campane a mezzogiorno.
Grazie, perché ho avuto da questa scuola molto di più di quanto io abbia tentato di dare”.