Bitonto città di mafia o città del riscatto antimafia? Il dibattito è apertissimo in queste ore sui social, dopo il blitz che ha portato all’arresto di 43 persone che a vario titolo erano anelli di una lunga catena di spaccio sul territorio. “La realtà evidenziata da questa indagine che ha riguardato zone di spaccio massivo a Bitonto, in qualche modo ripropone una immagine che abbiamo visto in altre realtà italiane: sono delle enclave fortificate caratterizzate da sistemi di difesa attiva e passiva che rendono assolutamente difficile intervenire nella flagranza di reato”, aveva detto il direttore centrale anticrimine della Polizia di Stato, il prefetto Francesco Messina.
Bitonto come Scampia, dunque, come alcune borgate romane o come il Brancaccio di Palermo di qualche anno fa. Una struttura piramidale che regnava in quartieri popolari, pronta ad intercettare eventuali intrusioni esterne. Un’immagine forte, che non fa sconti di facciata e che sembra in buona parte rispecchiare una realtà conclamata dall’inchiesta e dagli arresti. Per il sindaco Michele Abbaticchio, però, bisogna “continuare a coltivare semi di speranza” ed il primo cittadino ha anche tenuto a ringraziare il servizio pubblico televisivo per aver “voluto dedicare attenzione a parte di quello che è stato fatto nella zona 167 dall’attuale e precedente amministrazione”. “Un riconoscimento – ha detto ancora – che ci spinge a coltivare tutti quei semi di speranza lasciati in un terreno aggredito dalla ferocia della droga e, nonostante tutto, conservati con cura per quei ragazzi e quelle famiglie che ne vogliono trarre beneficio sociale”.
Bitonto soffocata da una parte, Bitonto che cerca il riscatto dall’altra. I luoghi comuni, terribili, s’intrecciano spesso con la cronaca, e sui social network ci si divide tra speranza di un domani vicinissimo migliore e la rassegnazione per un esercito di malviventi che sembra avere infiniti serbatoi da cui attingere continuamente ed in vari settori del crimine.
Un’ulteriore divisione c’è tra chi sostiene che i reati predatori siano quelli più detestabili per i residenti (Bitonto e Cerignola vengono dipinte come capitali del furto d’auto) e chi invece rimarca l’importanza dell’operazione anti-droga. “Ai cittadini interessa poter vivere la città in maniera tranquilla – evidenzia un residente in un commento ad un articolo di un giornale, Bitontoviva – poter passeggiare senza essere investiti, lasciare le proprie case e le automobili senza che qualcuno ne approfitti per furti ed intrusioni”. “Di questi grossi traffici sono interessati relativamente. Solo cronaca e propaganda”, è il commento amaro e spiazzante. “Se ‘lo Stato c’è’ per un solo giorno e non potenzia gli organici di polizia, il blitz non è servito a nulla”, commenta un altro cittadino che invece auspica una intensificazione dei controlli che non lascino respiro alle attività dei clan.
Tante le invettive contro chi traccia paralleli con realtà difficili della penisola, perché i bitontini, giustamente, si sentono molto altro. Una dicotomia perenne, alfa ed omega, giorno e notte. Da una parte la città dell’olio di qualità, delle eccellenze in campo professionale, artistico e culturale, di un borgo antico che è tornato ad essere una perla costellata di scrigni riportati a nuova vita, e dall’altra fatti criminosi di cui sono piene le cronache quasi quotidianamente. E poi un coro unanime di condanna verso quella parte della politica, soprattutto nazionale, che sui giornali fa sfoggio in queste ore di un impegno antimafia in realtà intangibile. Troppi i silenzi nei mesi precedenti, poco l’impegno sul territorio contro questi fenomeni, è la posizione dei cittadini perbene. Bitonto si divide perché ha bisogno di ossigeno, di uscire dagli stereotipi, di riprendersi la sua storia con tutta la complessità che essa comporta. La strada è lunga, ma operazioni come quella condotta qualche giorno fa possono estirpare metastasi e restituire nuove primavere ad una comunità che non può avere ancora paura. È forse giunto il tempo di una nuova alba.