Una lunga lettera aperta, pubblicata sui social, per denunciare le condizioni definite “oscene, vergognose e al limite dell’umano” in cui versano i pazienti della cosiddetta ‘shock room’ del Pronto Soccorso del Policlinico di Bari. E la replica dell’ospedale che definisce questa denuncia “una vendetta delirante di una persona che non conosce quello di cui parla” e che più in generale respinge le accuse etichettandole come “una serie di menzogne”. La prima delle versioni è quella di Giancarlo, che racconta sul web la sua storia partendo dall’arrivo in ospedale di sua mamma, una donna di 76 anni. La seconda è del dottor Vito Procacci, dirigente medico del Pronto Soccorso.
La lettera del ragazzo è indirizzata Anna Maria Minicucci, direttrice sanitaria dell’azienda ospedaliero universitaria del ospedale Policlinico di Bari. “Nella denuncia parlo della situazione del Musi, reparto di medicina d’urgenza subintensiva gestito dal Pronto Soccorso, e della sua shock room – specifica a Telebari –. Non di come è stata gestita la situazione di mia madre all’interno del Musi: sia chiaro, non è una questione personale. Voglio accendere i riflettori su quello che accade lì dentro, non su quello che è successo a mia madre. L’abbiamo portata al Pronto Soccorso sei giorni fa perché aveva iniziato a rinunciare al cibo, era debole e aveva pressione bassissima. Una situazione grave, una volta di più perché parliamo di una persona anziana e cardiopatica. Da lì in poi, è iniziato l’incubo”.
Un incubo, sostiene Giancarlo, vissuto da tante donne e tanti uomini “rinchiusi in un luogo osceno, vergognoso, al limite dell’umano – scrive -. Ho stentato a credere che potesse esistere un luogo simile. È un non luogo. In quel limbo sono tenuti uomini e donne negli escrementi (Giancarlo usa un termine più forte, nel suo racconto, ndr), letteralmente. Per tre giorni minimo, anche cinque, i parenti vanno dai loro genitori, figli, nonni e parenti e li trovano nelle feci (anche qui lo stesso termine di prima, ndr) o nel sangue, rappreso, seccato sulla pelle, che si fa fatica a levare via. Prima di entrare in quel non reparto, giustamente definito scioccante, ci si deve prenotare, telefonicamente, e per fortuna a risponderti ci sono due umanissime signore, di quelle che evidentemente sanno, si accorgono di ciò a cui assistono ogni giorno”.
Giancarlo racconta di aver incrociato lo sguardo con pazienti che “in quel non luogo – scrive – mi pregavano di levargli da terra il cibo, mettergli nel borsone le proprie robe, lavargli le mani dal sangue fuoriuscito dagli aghi delle flebo. Coprirgli le gambe per il freddo”. E ancora di sua madre, sporca delle proprie feci nelle parti intime, sulla pancia e sulle gambe, di escrementi per terra, di una signora di 76 anni “per tre giorni tenuta nuda, con un pannolone e deprivata finanche del cibo, figuriamoci delle cure e delle pulizie. Con il cibo lasciato sul suo comodino, accatastato e dismesso in una busta perché rovesciato” e senza quelle medicine salvavita “che invece a casa le facevamo prendere quotidianamente”.
Fin qui, la prima versione. Quella del Policlinico, però, è totalmente diversa. “Sono letteralmente esterrefatto – dice a Telebari il dottor Vito Procacci, dirigente medico del Ponto Soccorso -. Alla mamma di questo signore è stata data tutta l’assistenza del caso. È stata sistemata in una stanza con bagno della nostra medicina d’urgenza. La signora doveva essere ricoverata poi in un reparto di Medicina, per un’urgenza nel reparto, per sua definizione imprevedibile, quel posto non si è reso più disponibile e così è tornata a stare da noi. Per ripicca, evidentemente, è arrivato quel post, delirante, sui social”.
A prescindere dal caso specifico, il medico fotografa una situazione molto diversa rispetto a quella fornita dalla diapositiva della denuncia social. “Potete venire a vedere cos’è la Musi in qualsiasi momento – tuona -. Quello che ha scritto questo signore non esiste né in cielo né in terra. Il reparto è costituito da 5 stanze da due letti con bagno in camera, ancora 2 stanze da quattro letti sempre con bagno in camera e una stanza open area da otto letti, monitorati e ventilati, dedicata ai pazienti gravissimi”.
“Ogni infermiere gestisce dai quattro ai cinque pazienti, massimo – spiega ancora Procacci -. I pannetti, di default, vengono cambiati ogni due ore e quando il paziente segnala di aver fatto i propri bisogni. Il vitto viene dato regolarmente al mattino, a mezzogiorno e alla sera. Se i pazienti non sono in grado di alimentarsi vengono imboccati dagli Oss, ma la maggior parte di loro sono sottoposti a nutrizione parenterale. I pazienti non sono nudi. Hanno camici molto leggeri perché, purtroppo, nel nostro reparto capita di dover rimediare a un arresto cardiaco con il defibrillatore. Una procedura che non possiamo fare da sopra al pigiama. Chi ha critto quel post ha messo insieme una serie di menzogne”.
“La shock room del Pronto Soccorso, è un’area di emergenza in cui non ci si può aspettare uno scenario da clinica privata – continua il medico -. Abbiamo due box in cui rianimiamo i pazienti e altre quattro postazioni utili a stabilizzare la situazione degli stessi, in cui i tempi di permanenza non superano mai le 72 ore. In questa sala i pazienti vengono guardati a vista da due medici e due infermieri. In più, ci sono due Oss che si occupano del protocollo di pulizia a cui facevo riferimento prima. Un protocollo che riguarda anche gli ambienti: puliti tre volte al giorno e all’occorrenza. Situazioni come quelle descritte sui social, in tanti anni, non ne ho mai viste”.
“Quelle di questo signore sono diffamazioni pericolosissime – conclude il dottor Procacci – che rientrano nell’orbita del reato di istigazione alla violenza contro gli operatori sanitari. La gente deve sapere che, così facendo, i medici continueranno a scappare dal Sud, dai nostri ospedali, dove ci si fa in quattro per garantire l’assistenza ai pazienti, dove si rasenta l’eroismo, ma nessuno riconosce ai ragazzi il loro merito. Al contrario, questa è una maniera gratuita, fuori da ogni logica e assolutamente delirante di sparare contro un servizio fondamentale, come quello del Pronto Soccorso, che ogni giorno salva vite umane. Compreso quella della mamma di questo signore”.