Carcere duro per tre boss degli Strisciuglio: dalla cella organizzavano clan tramite ‘ambasciate’

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Con tre decreti, tutti del 23 novembre, il Ministero della Giustizia, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, ha disposto l’applicazione del regime di detenzione previsto dall’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario (che prevede il ‘carcere duro’) a carico Lorenzo Caldarola, Vito Valentino e Alessandro Ruta. I tre sono i referenti del clan Strisciuglio, operanti rispettivamente nei quartieri Libertà e San Paolo della città di Bari, recentemente colpiti dall’operazione “Vortice-Maestrale” eseguita dalla Squadra Mobile di Bari e dal Comando Provinciale Carabinieri di Bari.

Lorenzo Caldarola, già destinatario di numerose ordinanze di custodia cautelare in carcere (operazioni Sant’Anna, Black & White, Lithos, Eclissi, Break Down2 e Coraggio), è stato più volte condannato, in via definitiva, per il reato all’articolo 416 bis del Codice penale (associazione di tipo mafioso) e, per questo, in passato già sottoposto al regime detentivo speciale. Questi, così come sancito in diversi procedimenti penali, anche con sentenze passate in giudicato, è ritenuto il leader incontrastato del clan Strisciuglio nei quartieri Libertà e San Pio.

Le attività eseguite, corroborate da numerose dichiarazioni di collaboratori di giustizia, hanno ampiamente dimostrato come Caldarola abbia promosso attivamente ed organizzato una ramificata attività di spaccio, dirigendola anche durante il periodo di detenzione in carcere, riuscendo a comunicare con l’esterno tramite i propri familiari oppure direttamente, utilizzando telefoni cellulari clandestinamente introdotti in carcere, a spregio delle norme comportamentali detentive.

Vito Valentino ha da sempre dimostrato una chiara inclinazione alla commissione di gravi delitti, schierandosi da subito in seno all’organizzazione mafiosa del clan Strisciuglio; d’altro canto, lo stesso è cresciuto in un contesto familiare già arruolato tra le fila del clan.

In capo a Valentino gravano, tra le altre, condanne definitive per l’omicidio di D’Ambrosio Domenico (avvenuto nel 2003), commesso quando era minorenne e per associazione mafiosa (operazioni Eclissi e Coraggio). Peraltro pende anche una condanna non definitiva a 20 anni di reclusione per l’omicidio di Antonio Luisi ed il ferimento di suo padre Luigi (il 30 aprile 2015); nel suo curriculum criminale emergono numerose misure cautelari per reati associativi che hanno segnato la sua ascesa nel panorama mafioso di appartenenza.

Il suo inserimento nell’associazione per delinquere è stato delineato da convergenti dichiarazioni di nuovi collaboratori di giustizia che si sono saldate con altre fonti di prova ed attività di riscontro, in particolare con numerose intercettazioni ambientali, effettuate in seguito a gravi fatti di sangue (omicidi dei congiunti Luisi) avvenuti nel quartiere Libertà, che ha visto quale mandante proprio Valentino. Un ruolo strategico lo ha ricoperto anche da detenuto: tramite “ambasciate” con i parenti o altri canali di comunicazione, ha posto le condizioni per le nuove strategie da intraprendere per il riassetto tra le varie articolazioni del clan.

Il percorso criminale di Alessandro Ruta lo ha portato ad assumere il ruolo di capo dell’articolazione del clan Strisciuglio nel territorio del quartiere San Paolo di Bari. Lo stesso è stato, tra l’altro, condannato, in via definitiva, per associazione mafiosa (operazione Coraggio), nonché, in via non definitiva, per l’omicidio di Luisi Antonio, commesso, peraltro, con il sodale Vito Valentino.

Anche in questa occasione, il suo inserimento nell’associazione per delinquere è stato ampiamente descritto da numerose e collimanti dichiarazioni di collaboratori di Giustizia, che si sono saldate con altre fonti di prova ed attività di riscontro. E’ emerso anche il perdurante ruolo svolto da Ruta durante il periodo di detenzione.


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