Omicidio Pordenone, un testimone ha sentito degli spari. La mamma di Trifone: “Lui e Teresa erano davvero innamorati”

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Ascoltata come teste nel processo a carico di Giosuè Ruotolo, la donna ha detto di non aver mai saputo di litigi con l’imputato. Un testimone racconta ulteriori dettagli.

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“I ragazzi erano innamorati. Erano all’unisono. Noi eravamo contenti della loro serenità”. Lo ha detto oggi alla Corte di Assise di Udine Eleonora Ferrante, la mamma di Trifone Ragone, il militare di Adelfia ucciso insieme alla fidanzata Teresa Costanza la sera del 17 marzo 2015 nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone. La donna è stata ascoltata come teste nel processo a carico di Giosuè Ruotolo, unico imputato per il duplice omicidio.

“Trifone ci fece conoscere Teresa a Pasqua del 2014 – ha aggiunto -. Lei mi disse che stavano avendo dei problemi con i coinquilini per le maggiori spese che avrebbero avuto con il trasferimento di Trifone nel nuovo appartamento. Consigliai loro di lasciare la caparra che avevano versato”, ha spiegato la donna prima di ricordare l’episodio in cui, un paio di giorni dopo l’omicidio, Ruotolo le avrebbe fatto presente di un credito vantato verso il figlio.

“Gli ex coinquilini – ha raccontato – vennero in albergo da noi. Mi disse che mi ha fatto un ‘buco’, capii che parlava di un debito. Gli chiesi se era una somma rilevante. A quel punto intervenne un altro inquilino che disse di lasciar stare, che erano 20 euro e che Trifone gli aveva fatto tanti favori. Me ne dimenticai fino a quando venne fuori la notizia che c’era un coinquilino, indagato. Allora andai a vedere il contratto d’affitto e pensai che era il ragazzo dei 20 euro”.

La mamma di Trifone ha riferito in aula anche dell’occasione in cui, poco dopo l’omicidio, un altro degli inquilini le disse “secondo noi, siccome Trifone aveva contatti con tante donne, magari qualche marito o magnaccione si è arrabbiato e li ha fatti fuori. Nessuno – ha concluso – mi parlò di litigi tra Trifone e Giosuè”.

E c’è anche la testimonianza dal giovane di 24 anni che la sera del 17 marzo 2015 si trovava nel parcheggio del palazzetto dello sport di Pordenone proprio mentre i due ragazzi venivano uccisi.

“Stavo mettendo la borsa della palestra in macchina, tra il sedile del conducente e del passeggero quando ho sentito gli spari. All’inizio ho pensato che potessero essere degli spari, poi però ho accantonato subito l’ipotesi. Ho pensato fosse impossibile che qualcuno stessa sparando e ho pensato che fossero degli scoppi di petardi. Ho chiuso la portiera, mi sono seduto sul sedile del conducente e sono rimasto un paio di minuti nel parcheggio per leggere la mia busta paga. Non ho ricordo di aver notato nessuno”.

Il giovane è indagato per l’ipotesi di reato di 371 bis, false informazioni al pubblico ministero, per alcune dichiarazioni “reticenti”. Il testimone si è difeso spiegando di non essersi presentato subito dagli inquirenti “perché ho pensato che aver sentito qualcosa senza aver visto nulla non servisse a niente”.

Il ragazzo ha riferito anche che gli sarebbe parso “di sentire uno scooter all’altezza della colonnina elettrica dopo gli spari ma non ho visto nulla. Nell’uscire dal parcheggio, un paio di minuti dopo – ha continuato – mi è parso di vedere un’auto bianca, forse una Ka”.

Alla prossima udienza saranno ascoltati i genitori di Teresa Costanza, cinque dipendenti delle società di gestione delle videocamere, un investigatore e uno dei Carabinieri che fecero le ricerche nel laghetto del parco di San Valentino dove venne poi trovata l’arma del delitto.

 

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