Questa mattina, militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Bari e personale della Polizia Edilizia del Comune di Bari hanno sottoposto a sequestro preventivo un immobile di proprietà di Giovanni Giannoccaro, dirigente del Policlinico tratto in arresto nell’aprile del 2018 per una presunta tangente da 3mila euro.
Nel corso dell’indagine, quindi, si è riscontrato che presso una villa di proprietà dell’uomo erano in corso di svolgimento lavori edili di ristrutturazione ed ampliamento di una struttura preesistente: a seguito degli approfondimenti investigativi disposti dalla Procura della Repubblica di Bari, così, è stata accertata la realizzazione di opere edilizie in assenza di autorizzazioni o titoli edificatori e in violazione della normativa in materia antisismica, di assetto del territorio e tutela del paesaggio.
È emerso, in particolare, che la struttura ed i successivi ampliamenti e sopraelevazioni sono stati realizzati su un’area soggetta al divieto di edificabilità assoluta, ricadente nella fascia dei 100 metri dalla costa, successivamente all’imposizione del vincolo di tutela paesaggistica. Per gli stessi fatti risultano indagati i titolari delle due imprese esecutrici dei lavori.
GLI AVVOCATI DI GIANNOCCARO
“Ci viene detto che la Guardia di finanza ha comunicato alla stampa di un abuso edilizio con sequestro. Saremmo curiosi di conoscere quante volte questo avviene e se avviene nei confronti di tutti coloro che sono accusati di tali abusi. Premesso che riteniamo la contestazione del tutto infondata, è evidente che nei confronti del dottor Giannoccaro vi è un trattamento del tutto ‘privilegiato'”. Lo affermano gli avvocati Francesco Paolo Sisto e Angelo Loizzi, difensori di Giovanni Giannoccaro, l’ex dirigente del Policlinico di Bari al quale oggi è stata sequestrata una villa sulla costa barese per abusi edilizi e paesaggistici. Giannoccaro è attualmente a processo anche per un’altra vicenda di concussione risalente al suo incarico al Policlinico. “Portare il processo penale sulla stampa – dicono i legali – non è una tecnica che, soprattutto in fase di indagini preliminari e per contestazioni assolutamente minori, può essere accettata: c’è il sospetto che più che denunciare il fatto si voglia colpire la persona”.