La Corte d’Appello di Bari, terza sezione civile, ha condannato l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Raffaele Fitto, per fatti risalenti a quando era presidente della Regione Puglia, a risarcire la Regione per circa 500 mila euro di danni morali. I giudici lo hanno ritenuto responsabile di falso ideologico con riferimento a una delibera di Giunta dell’aprile 2004 relativa all’affidamento a privati della gestione delle Residenze sanitarie assistite.
“La Corte – si legge nella sentenza – ritiene che il falso ideologico commesso da Fitto abbia provocato un enorme danno alla credibilità e all’immagine della Regione”. L’Ente aveva chiesto un risarcimento per danni non patrimoniali pari a 1,5 milioni di euro e patrimoniali pari a oltre 22 milioni. I giudici hanno condannato Fitto per i soli danni morali, non per quelli patrimoniali. La vicenda è stata definita dalla Corte d’Appello civile perché, dopo l’annullamento con rinvio della sentenza penale da parte della Cassazione, preso atto che il reato era ormai prescritto, gli atti del procedimento sono stati trasmessi direttamente ai giudici civili.
Nella sentenza si evidenza “la sussistenza del dolo di Fitto, il quale volle e preparò l’apertura generalizzata al privato nelle Rsa, sollecitando in ogni modo pezze di appoggio dagli uffici competenti”. La delibera ritenuta falsa faceva riferimento alla impossibilità delle Asl di gestire direttamente le 11 Rsa regionali, rendendo così legittimo il ricorso all’affidamento della gestione a soggetti privati mediante apposita gara del valore di 198 milioni di euro.
Si tratta di uno stralcio del processo “Fiorita” sulla presunta tangente da 500 mila euro pagata dall’imprenditore romano Giampaolo Angelucci per aggiudicarsi quella gara. Accuse, queste ultime, dalle quali Fitto è stato assolto in sede penale in via definitiva. Nel procedimento la Regione è stata rappresentata dagli avvocati Giuseppe Spagnolo e Massimo Leccese.
“Il suo organo di vertice più importante, un presidente scelto dagli elettori, – spiegano i giudici – prese una decisione essenziale in materia di sanità, la più importante sul piano socio-economico tra quelle attribuite all’ente, creando sulla base di falsi presupposti il ‘ponte’ necessario per un successivo processo di privatizzazione delle Rsa sganciato da ogni discussione democratica e collaborazione amministrativa non solo con gli elettori e i loro rappresentanti in Consiglio regionale, ma di volta in volta pressando e pretermettendo uffici amministrativi e qualificati dirigenti di Asl e Ares, fino a prevaricare e travolgere persino gli assessori da lui scelti in virtù di un vincolo di fiducia politica e personale, in primis quello alla sanità”.
“Un atteggiamento autocratico – si legge ancora nella sentenza – proprio di chi evidentemente considerava soltanto il risultato da perseguire, al di là di procedure, rispetto di regole legali e amministrative, e persino il rispetto personale e politico verso i suoi assessori”.
“L’essere stata la Regione rappresentata da un presidente così radicalmente avulso dalla democrazia e dalla legalità – concludono i giudici -, nonché dal rispetto per le articolazioni locali titolari di proposta, le Asl, ha prodotto un danno che può essere quantificato, secondo equità, nella misura di 350mila euro, rivalutati a 434.500 dal fatto al momento attuale”, oltre interessi legali dall’aprile 2004 ad oggi (che ammontano a circa 90mila euro).
“La Corte di Appello ha reso nei miei confronti una sentenza incredibilmente contraddittoria, che mi lascia basito e che mi accingo chiaramente ad impugnare in Cassazione”, ha commentato Fitto. “Contraddittoria – ha aggiunto – perché chiarisce in modo indiscutibile che non esiste alcun danno patrimoniale”, ma “vengo condannato a risarcire la Regione per danno d’immagine quantificato in via equitativa e con valutazioni sulla mia persona inopportune ed offensive del tutto estranee a logiche giuridiche, che meriterebbero sicuramente altro tipo di valutazioni e che costituiscono un precedente isolato e pericolosissimo, reso al di fuori di ogni canone di ragionevolezza, atteso che la stessa Corte non ha potuto individuare, nella mia condotta (che pure ribadisco essere stata legittima) una idoneità a causare un danno patrimoniale all’ente. Nonostante tutto sono sereno – conclude – ribadisco la mia fiducia nella giustizia”.