La Procura di Bari ha chiesto la condanna a 28 anni di carcere per il 36enne Antonio Colamonico, imputato dinanzi alla Corte di Assise di Bari per l’omicidio della 29enne italo-brasiliana Bruna Bovino, uccisa il 12 dicembre 2013 nel centro estetico che gestiva a Mola di Bari. Colamonico aveva una relazione extraconiugale con la vittima.
Secondo l’accusa, l’omicidio sarebbe avvenuto durante un litigio scoppiato perchè l’uomo aveva deciso di troncare il rapporto. Il procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno, al termine di una requisitoria durata circa cinque ore, ha chiesto la condanna di Colamonico per omicidio volontario e per il successivo incendio appiccato, secondo l’accusa per cancellare le prove del delitto appena compiuto.
Il corpo della vittima, infatti, fu trovato semicarbonizzato sul pavimento del centro estetico, fra brandelli di indumenti e sangue. Gli accertamenti medico legali hanno consentito di individuare come cause della morte non il rogo, ma le ferite alla base del collo provocate da circa 20 colpi di un paio di forbici e poi lo strangolamento.
Colamonico, difeso dagli avvocati Nicola Quaranta e Massimo Roberto Chiusolo, è in carcere per il delitto dal 9 aprile 2014 e oggi era in aula. Fra il pubblico c’erano i suoi familiari e numerosi amici e parenti della vittima. Nel processo sono costituiti parti civili la Regione Puglia, le due associazioni anti violenza Giraffa Onlus e Safiya Onlus e i parenti della vittima. Si tornerà in aula nelle udienze del 19 e 26 giugno per le discussioni di parti civili e difesa, mentre la sentenza è prevista per il prossimo 3 luglio.
Secondo la Procura, durante la lite la donna avrebbe tentato di reagire all’aggressione, ma dopo essere stata colpita al capo, sarebbe caduta sul pavimento e Colamonico l’avrebbe ripetutamente colpita fino e strangolata. “Una morte lenta – ha detto il pm – durante diversi minuti”. Per cancellare ogni traccia avrebbe poi appiccato il fuoco al locale utilizzando alcune candele. Subito dopo l’imputato, ipotizza la Procura, avrebbe tentato di allontanare i sospetti da sé telefonando al cellulare della vittima e occultando forbici e telefoni. A carico di Colamonico, stando a quanto accertato dai Carabinieri, coordinati nelle indagini dai pm Bruno e Antonino Lupo, ci sono anche l’esito degli accertamenti sulle celle telefoniche, che posizionerebbero il 36enne sul luogo del delitto a quell’ora, e le tracce di dna dell’uomo trovate sotto le unghie della vittima e nel centro estetico.
Il pm ha definito l’omicidio maturato in un “dolo d’impeto” che “non merita attenuanti”. Al termine della requisitoria l’accusa ha evidenziato anche le presunte menzogne dette dalla moglie dell’imputato per coprire il marito, chiedendo alla Corte di trasmette gli atti per falsa testimonianza.