Avrebbe sfruttato per anni nove braccianti agricoli stranieri pagandoli poco più di 3 euro l’ora, minacciandoli in alcuni casi di “ammazzarli di botte” se si fossero ribellati, di far del male alle loro famiglie lontane, facendoli vivere in alloggi senza bagno e acqua e “imponendo ritmi di lavoro serrati senza consentire la pausa nemmeno per bere o mangiare”. Per questo un imprenditore barese di 57 anni, titolare di un’azienda agricola nel quartiere San Pio, è ora indagato per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Nei confronti dell’imprenditore il Tribunale di Bari ha disposto un sequestro preventivo di beni per circa 64mila euro, confermato poi dai giudici del Riesame dinanzi ai quali era stato impugnato, e la misura cautelare personale della interdizione per un anno. La vicenda risale agli anni 2016-2019. A far partire le indagini dei carabinieri è stata la denuncia di uno dei nove braccianti, un cittadino pakistano.
L’uomo, dopo aver fatto capire che voleva denunciare la situazione di sfruttamento, sarebbe stato vittima di una spedizione punitiva con schiaffi e pugni, sottrazione di telefono cellulare e denaro e minacce. “Vado a casa tua in Pakistan e ti faccio vedere che fine fanno i tuoi figli” gli avrebbe detto un connazionale ritenuto complice del presunto caporale.
I nove lavoratori sfruttati, quasi tutti ascoltati dagli investigatori ai quali hanno confermato il contenuto della denuncia, sono uomini e donne, tra i 44 e i 23 anni, originari di Pakistan, Senegal, Gambia, Romania e Somalia. Hanno raccontato di lavorare, in parte in nero, con paghe di 25 euro se rimanevano nei campi per la raccolta di finocchi, cavoli e patate dalle 7 alle 15 e di 30 euro se l’orario era prolungato fino alle 19. Due di loro hanno confermato di vivere in “autentici tuguri”, li definiscono i giudici, messi a disposizione dal datore di lavoro.
Nell’inchiesta la Procura ha raccolto testimonianze, intercettazioni e video che “mostrano – si legge negli atti – locali fatiscenti e assolutamente indegni”. “La torre dove io abito – ha raccontato uno dei braccianti alloggiato in una struttura in muratura all’interno del fondo agricolo dove lavorava a Bitonto – è costituita da una sola stanza senza bagno e senza acqua. Per il bagno usufruisco dei terreni circostanti mentre per l’acqua vado in bici e riempio dei bidoni da cinque litri dall’acqua pubblica”.