Esplosione fabbrica Bruscella, chiesto processo per l’unico socio sopravvissuto. La Procura: “Violate norme di sicurezza”

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Un “evento distruttivo di proporzioni straordinarie” causato dalla sottovalutazione dei rischi connessi alla lavorazione di giochi pirotecnici e che provocò la morte di dieci persone. Viene definita così dai magistrati della Procura di Bari l’esplosione del 24 luglio 2015 nella fabbrica di fuochi d’artificio Bruscella di Modugno (Bari). Con le accuse di disastro colposo, violazioni di numerose norme relative alla sicurezza sul lavoro, omicidio colposo plurimo e lesioni colpose, l’unico socio sopravvissuto all’esplosione, il 59enne Antonio Bruscella, comparirà davanti al gup del Tribunale di Bari Alessandra Susca il prossimo 15 dicembre.

 

Il giudice dovrà decidere, così come chiede la Procura, se rinviarlo a giudizio. I pm che hanno coordinato le indagini, Grazia Errede e Domenico Minardi, contestano all’uomo di aver contribuito a causare, o comunque a non evitare, quelle esplosioni in sequenza che uccisero dieci lavoratori e rasero al suolo fabbrica, per non aver adottato le “occorrenti cautele” necessarie per “lavorazioni pericolose”. I magistrati spiegano nelle imputazioni le numerose omissioni in materia di norme sulla sicurezza: dalla mancata redazione dei Documenti di Valutazione dei Rischi, all’utilizzo di utensili inadeguati, in particolare “ordinarie forbici metalliche per tagliare la miccia”, dall’uso di indumenti non ignifughi, alla mancanza di addestramento per i lavoratori e, infine, alla presenza di più esplosivo (oltre 3 tonnellate) della quantità consentita.

 

Nell’esplosione morirono il fratello dell’imputato, Vincenzo Bruscella, e il nipote Michele, (entrambi titolari della fabbrica insieme con Antonio Bruscella), il cognato Vincenzo Armenise, il cugino Michele Pellicani, lo studente 20enne di Napoli Riccardo Postiglione, che era lì quel giorno perché stava lavorando ad un sistema elettronico di fuochi musicali, gli amici e collaboratori Giuseppe Pellegrino e Vincenzo Di Chirico e gli operai Banga Harbaajan, Nigah Kumar e Merja Saimir. Nella richiesta di rinvio a giudizio la Procura individua 26 parti offese, tutti familiari dei lavoratori deceduti, che potranno costituirsi parte civile.


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