I Piani Individuali di Risparmio (PIR), sono stati un tema molto discusso in sede di governo. Annunciati per poi finire nel dimenticatoio anni fa, diventati realtà nel 2018 attraverso la Legge di Stabilità, per poi trasformarsi in un polo di interesse indiscusso da parte degli investitori nel 2019. Da cosa è scaturito tutto questo clamore? In primis sicuramente il concetto intrinseco di novità, ma molti hanno considerato il corpus fiscale di questi prodotti un incentivo estremamente stuzzicante per la detassazione della plusvalenza, prevista qualora l’investimento sopravviva per più di cinque anni. Allora sorge spontaneo chiedersi se i PIR rappresentino davvero la scelta giusta per investimenti a medio e lungo termine.
Innanzitutto, è bene riflettere sulla struttura prima di prendere una decisione cosi importante. È necessario infatti valutare entrambe le facce della medaglia, considerando che ad ogni incentivo fiscale corrisponde un margine di rischio, i cui fattori pongono seri dubbi sulla scelta di questo strumento finanziario per investire strategicamente a lungo termine. Vediamo dunque quali sono i fattori di rischio dei Piani Individuali di Risparmio che possono compromettere la sicurezza del proprio capitale, soprattutto vincoli temporali che rendono il soggetto meno protetto e quindi più esposto sul mercato. L’incentivo fiscale infatti è solo uno strumento di remunerazione del rischio che il legislatore si assume, non un dono che benevolmente concede al risparmiatore.
Per diverse aziende di consulenza finanziaria, i PIR non sono considerati una scelta consigliabile per gli investitori intenzionati a risparmiare parte del proprio capitale per diverse caratteristiche intrinseche allo stesso strumento finanziario. In primo luogo, sono espedienti legati al sistema nazionale che non offrendo diversificazione geografica e quindi la possibilità di bilanciare verso altre zone, in caso di necessità, mettono in pericolo i propri risparmi esponendoli ai rischi dell’economia italiana.
Bisogna poi considerare che molte aziende a piccola e media capitalizzazione emettono strumenti molto volatili e poco liquidi nel portafoglio italiano. La presenza di questi genera automaticamente rischio, talvolta eccessivo per i risparmiatori che hanno deciso di affidarsi a questo tipo di prodotti. In termini probabilistici, è stocasticamente possibile che essi intacchino il proprio capitale. In termini temporali, è giusto tenere a mente anche la condizione necessaria di esistenza dell’incentivo fiscale: esso è vincolato ad un investimento che duri per più di cinque anni. Quindi per ritirare in anticipo i propri soldi bisogna pagare la normale aliquota del 26% sulle plusvalenze.
Oltre ai vincoli temporali è necessario considerare anche i vincoli di tipo strutturale. I PIR sono composti per lo più da azioni e obbligazioni: potrebbe risultare complesso individuare il punto di equilibrio tra le distribuzioni delle diverse asset class. Esiste poi un vincolo tecnico: i PIR sono strumenti dedicati a investitori molto esperti nel settore, la natura delle piccole e media imprese in Italia è molto volatile ed estremamente complicata. Essendo un prodotto nuovo, che non ha né storia né concorrenti, risulta difficile valutare la performance dei gestori, non disponendo di indicatori adatti. Infine, bisogna considerare il vincolo giuridico: i PIR possono essere offerti con varie forme giuridiche, il che implica strutture di costo poco chiare. È importante che l’investitore faccia molta attenzione.